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“Piena di grazia”

Maria e certosini

Cari amici lettori ecco per voi un testo estratto da “Contemplations Mariales” di Dom Augustin Guillerand. Leggiamo e meditiamo sulle considerazioni di questo immenso autore certosino.

“Piena di grazia”

Tutto ciò che i più grandi teologi nei loro trattati, i pensatori cristiani nelle loro più alte speculazioni, gli stessi santi nelle intuizioni della loro pietà hanno potuto dire, pensare, intravedere la grandezza della Vergine, l’Angelo lo ha ottimamente espresso nella prima parole del suo saluto. Difficilmente potrebbe essere altrimenti. Egli è il messaggero del Dio Altissimo, parla in suo nome, trasmette il suo messaggio, dice quello che direbbe Dio se intervenisse di persona; le sue parole devono quindi avere una pienezza di significato e di espressione che non può essere superata. Ed ecco perché, è ancora meditando su queste parole così semplici, così spesso ripetute, che possiamo farci un’idea più precisa di questa grandezza.L’Angelo scopre e saluta in Maria una doppia grandezza: la sua grandezza davanti a Dio e la sua grandezza davanti agli uomini. La sua grandezza davanti a Dio è la sua grazia, ciò che in Lei c’è di veramente divino, questa vita superiore, soprannaturale, la vita stessa di Dio comunicata. Ogni grandezza naturale, paragonata a questa, non vale nulla; è come il fiore più bello che sboccia davanti a un bambino, non li paragoniamo, è di un altro ordine.In questa vita soprannaturale di grazia con la quale Dio si dona a noi, distinguiamo due realtà: una quindi creata e una dono increato. Infatti, queste due realtà sono legate, ordinate l’una all’altra, fuse… Le distinguiamo solo per studiarle meglio.Il dono creato ci rende partecipi della vita di Dio. Conoscete le due definizioni di Dio date da san Giovanni: “Dio è Luce” (I Giovanni I, 5) e, poi, “Dio è Amore” (Ibid. IV, 16). La Grazia è uno sfogo nell’anima di questa Luce e di questo Amore. Così come Dio illumina eternamente il suo essere per vederlo, per conoscere la ricchezza sconfinata; come, in questo essere come in un grembo, genera una chiarezza, uno splendore, un raggio che lo mostra, così, nell’anima in grazia, produce come uno splendore divino, splendore della sua Luce eterna che fa anima “figlia della Luce”. In questa chiarezza, l’anima lo conosce con una conoscenza nuova, superiore, che la sua natura non può neppure sospettare… Ecco ciò che, con il suo sguardo tutto puro e celestiale, l’Angelo scopre in Maria, ecco ciò che saluta: “ Ti saluto, piena di grazia. » La vede tutta ricolma, inondata di questa chiarezza, come immersa in questo splendore, tutta presa e trasportata da questo Soffio d’Amore. Là «Dio è luce e non ci sono tenebre in Lui» (1 Gv 15). Le parole sono vere della Vergine: in Lei il vaso è limitato, lo specchio ha limiti, la differenza c’è, è infinito, ma è infatti la stessa Luce, e la riproduce senza nuvola, senza ombra; è lo stesso Amore che anima senza contrarietà né resistenze, ma non è tutto, è solo il dono creato, la partecipazione finita alla Luce e all’amore infinito. Dio non si accontenta di versare nell’anima in grazia una parte di Lui, una comunicazione del movimento che è la sua vita; Lui stesso ha detto in persona: “Se qualcuno mi ama”, ha detto Gesù, “il Padre mio lo amerà e noi entreremo in lui e prenderemo dimora in lui. » (Giovanni XIV, 23). «Dio è amore», dice san Giovanni; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio in lui” (1 Giovanni IV, 16). Questo, sapete, è il tema essenziale dell’ultimo discorso di Gesù, il discorso dopo l’Ultima Cena e la preghiera da lui terminata. Questo è ciò che Egli vuole che ricordiamo del suo tempo tra noi e del suo insegnamento: Dio non ci offre solo qualcosa di Se stesso, offre Se stesso. Viene Lui stesso; Lui stesso è presente; le tre Persone sono lì e si donano nell’anima e si donano all’anima come si donano in Dio: questo vede e saluta l’Angelo in Maria. Non vede solo lo splendore di Dio, vede Colui che irradia e riempie quest’anima con la Luce del suo Amore. E per questo aggiunge: «Il Signore è con voi.» Donandosi, Dio dona se stesso. È una legge, possiamo addirittura dire che è la legge per eccellenza, la legge che governa il mondo creato come il mondo divino. Dio risplende nella Vergine affinché lei stessa risplenda Dio nel mondo. Ella deve ospitare il riflettore di Luce divina, i raggi divini devono assumere nel loro splendore misurato, proporzionato alla nostra debolezza e, come è tutta rivolta verso di Lui per accoglierlo in pienezza, così le anime devono volgersi verso di Lei per riceverlo, in pienezza , vedere in lei e riceverlo da lei.

Dom Pierre VI Sarde

per priori generali

Originario del Limosino, Pierre Sarde o Sardes, che troviamo ancora chiamato Sardene o Sardel, esercitò la sua professione presso la Certosa di Notre-Dame-de-Cahors e, poco dopo, fu nominato Procuratore di questa casa. Nel 1530 ricoprì la carica di priore di Glandier, poi fu chiamato a guidare Port-Sainte-Marie, vicino a Riom, nel 1533. Fu priore di Notre-Dame de Cahors quando fu elevato alla prima dignità dell’Ordine nel 1554. Dom Pierre ebbe anche suo fratello certosino, Dom Jean Sarde, anch’egli priore di Glandier (1547-1548), di Port-Sainte-Marie (1550-1556), di Vauclaire, primo priore di Rodez, visitatore della provincia dell’Aquitania fino alla sua morte nel 1563.

Dom Pierre, fu un santo religioso che diede l’esempio di una devozione rara e di un grande amore per la solitudine. Un antico manoscritto della Chartreuse de Glandier dice, parlando di Dom Sarde: “Grande soggetto di gloria per la nostra Casa, pastore così eccellente.” Sotto il suo Generalato, la Grande Chartreuse ebbe molto da soffrire a causa delle razzie degli Ugonotti. Questi eretici saccheggiarono e bruciarono il Monastero il 5 giugno 1562. Questo quinto disastro è attribuito alle furie del barone des Adrets che era allora a capo delle bande calviniste della regione. Dom Pierre Sarde, che aveva previsto questa disgrazia, si era assicurato gli oggetti più preziosi del Monastero, i reliquiari e i vasi sacri, ma non essendo riusciti a portare via manoscritti, libri, titoli e archivi, divennero preda dell’incendio. Lui stesso e i suoi Monaci dovettero fuggire per evitare la morte. La Comunità – meno due religiosi anziani, che non ebbero paura di affrontare il pericolo – si rifugiò a Favraz e da lì si disperse in diverse Case dell’Ordine. Quando dom Pierre Sarde ritornò alla Certosa, i muri carbonizzati erano gli unici in piedi, tutto il resto era caduto in preda alle fiamme. In queste sfortunate circostanze tutti i Monasteri accorsero in aiuto della Casa Madre. Grazie alle loro offerte il Generale poté mettersi al lavoro per riparare al disastro; ma Dio non gli diede la consolazione di vedere la fine dell’opera iniziata sotto la sua direzione. Per tre anni il Capitolo Generale non si è potuto riunire nella Grande Chartreuse; nel 1563, i Padri Domenicani di Chambéry offrirono la loro Casa per lo svolgimento del Capitolo, mentre nel 1564 e 1565 si riunì a Currières. L’anno successivo i Priori poterono, essendo i lavori abbastanza avanzati, tenere il loro Capitolo Generale presso la Grande Chartreuse. Il Reverendo Padre, distrutto dalla vecchiaia, dalla fatica e dalle preoccupazioni, chiese allora che gli venissero affidati un Coadiutore. La Carta del Capitolo Generale di quello stesso anno ci racconta che Dom Bernard Garasse, Priore di Mont-Dieu e Visitatore della Piccardia “fu eletto Coadiutore e successore del Padre Generale, da Dom Pierre Sarde stesso e dal Convento della Certosa. » Dom Bruno Lofir, Vicario della Certosa di Colonia, dedicata al Reverendo Padre Dom. Pierre Sarde le opere, appena pubblicate, di Dom Lansperge, studioso certosino tedesco, morto a Colonia, nel 1539 Morozzo attribuisce a dom Pierre il ristabilimento di un’associazione di preghiera tra gesuiti e certosini; abbiamo visto che il Reverendo Padre Innocent Le Masson, nei suoi Annali, pensa al contrario che questa associazione sia avvenuta sotto il generalato di Dom Pierre de Marnef. Il Reverendo Padre Dom Pierre Sarde governò l’Ordine per dodici anni. Si addormentò dolcemente nella pace del Signore il 26 luglio 1566.

Dialogo con San Bruno 42

6 dialogo

Ancora domande e risposte per comprendere la vita certosina.

CG – Davvero, Padre, non possiamo dubitare della grandezza del dono che la chiamata a vivere per Dio, in Cristo, e diventare vittime con Lui, presuppone.

SB – E il modo migliore per rispondere a un dono è utilizzarlo secondo i desideri del donatore. Questa volontà ti è espressa chiaramente nelle parole del profeta Osea, che ti ho ricordato, e in ciò che gli Statuti ti dicono riguardo a questo dettaglio. Perciò non ti resta che vivere questo dono di Dio, questo dono pasquale che ti trasporta dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce, dall’odio per il peccato alla tenerezza incomparabile dell’amore di Dio.

E credici: nonostante il suo realismo, il suo idillio coniugale, le parole di Osea sono pura ombra della dolcezza, della delicatezza, della tenerezza fedele e paterna di questo amore di Dio. Solo qui, godendo della Sua compagnia e visione, comprendiamo perfettamente la Sua grandezza e bontà. Solo qui ci rendiamo conto esattamente che vale la pena lasciare tutto e soffrire tutto nel mondo, nella speranza di aumentare i gradi di quell’amore. Infatti, non si tratta solo di riuscire ad amare di più Dio attraverso l’eternità. Se vedessi quanta e quale gioia gode Dio nell’amore dei suoi figli!

CG – Padre, potresti aiutarmi a capire il senso di questo dono pasquale, del nostro esodo, al quale Dio ci chiama “ad unirci a Lui per amore”?

SB – Il cammino dell’“Esodo” è stato per Israele un’uscita, un passaggio e un tempo per le sue “nozze” con Yahweh. Così accade anche a noi qualcosa di simile: è tempo di uscire dalle vanità dell’Egitto del mondo, per prepararci all’appartenenza totale a Dio.

L’ideale solitario e contemplativo della tua vocazione è un dono e un proposito pasquale perché richiede di lasciare tutto ed entrare nel deserto di un esodo, dov’è necessario rinunciare a tutto, compresi i desideri di quelle cose che in altri tempi ci davano gioia, per restare soli con Dio e accontentarsi di Lui è un cammino mosso da slanci di amore nuovo e da cammini di umiltà e di mitezza. Questo è il messaggio che il profeta Michea ti trasmette settimana dopo settimana, nell’ora della Tercia: «Ti è stato rivelato, o uomo, ciò che è bene, ciò che il Signore richiede da te: niente altro che fare giustizia, ama la fedeltà e cammina umilmente davanti al tuo Dio” (Mic 6,8).

Chiamo “dono e passaggio pasquale” questo ingresso nel deserto perché implica una conversione del cuore, un’obbedienza alla chiamata di Dio, una fiducia assoluta in Lui, che con amore e libertà Egli ci seduce e ci guida verso la solitudine per stabilirci nella pace del suo amore, per parlare ai nostri cuori, per sposarci per sempre a Lui nella santità, misericordia e fedeltà della sua bontà.

La grande gioia che ho espresso nella mia Lettera ai Fratelli della prima Certosa è stato, proprio, proprio perché ho visto realizzato in loro questo dono pasquale: ho contemplato la tenerezza dell’amore di Dio riversato nelle loro anime e ho conosciuto i frutti che la grazia produce in loro, quando con fede si lasciano portare la forza dell’amore e della fiducia.

Abbandonarono tutto, ma guadagnarono, a quel prezzo, il raggiungimento del più alto dei desideri: Dio.

Perciò, figlio, se vuoi sperimentare il dono di te stesso, accetta il dono di Dio, questa suprema manifestazione del suo amore, ottenuto in Cristo. Fissa il tuo sguardo su questo Cristo, che è la tua “Guida” attraverso il deserto; segui le loro orme; vivi per Lui, secondo il Suo disegno; accogli la tua tenerezza; e, con la forza del suo amore, supera le forze opposte che cercano di separarti da Lui e dal tuo scopo.

Una lettera di Niccolò Albergati al popolo bolognese

2-B.-Nicolò-Albergati

Cari amici, oggi 10 maggio si celebra la memoria del beato Niccolò Albergati, insigne figura dell’ordine certosino e della Chiesa. In questa ricorrenza ho scelto per voi una lettera scritta di suo pugno, ed indirizzata al “popolo bolognese” che lo acclamava per la nomina di Vescovo della città di Bologna.

“Lettera al popolo bolognese” del beato Nicolò Albergati, vescovo

(dalle Efemeridi dell’Ordine Certosino, a cura dí D. Leone Levasseur, I1, p. 19).

Il Beato rifiuta umilmente la dignità episcopale propostagli dalla comunità bolognese

“Non c’è bisogno o miei concittadini di questo nuovo attestato della vostra benevolenza verso di me, e non penso di esser tenuto a ringraziarvi a meno che — lo dirò liberamente — io non abbia a ringraziarvi per avermi sottratto la pace e la tranquillità dello spirito, a me tanto cara. Vi sono grato per la benevolenza, ma lo sarei molto di più se voi aveste desiderato per me quel bene, cui da tempo Dio mi ha legato, di vivere sulla terra, non solo come ospite e pellegrino, ma pure esule.

Non vogliate credere ad ogni ispirazione (1 Gv 4, 1): che direste se venisse dallo spirito maligno, quella che giudicate di ispirazione divina? Non conoscete le arti del nemico ingannatore, use a nascondersi specialmente dietro la maschera dell’onestà e della religione?

Sappiate, figlioli, che le voci del popolo non sono senz’altro le voci di Dio. Non continuate ad ingannare voi stessi e me. E macabro voler dissotterrare, perché vi governi, un cadavere sepolto da ventidue anni. Non turbate la pace di un morto: vi sarà più utile nel suo sepolcro che fra i vivi, e impetrerà per voi il santo timor di Dio, in cui consiste la vera vita.

Forse ignorate che cosa significhi morire vivendo ed essere sepolto insieme con Cristo (Rom 6, 4). E tuttavia un errore reclamare un monaco, uno che non appartiene più alla città, ma è fuggito dal mondo e si è dato alla solitudine. Che un simile uomo non debba essere posto a capo della città, imparatelo dai vostri avi. Essi videro san Petronio venire al governo non da un eremo, ma dallo splendore della corte imperiale. Non sono amante di me a tal punto da non sentirmi anch’io figlio della mia patria, debitore della mia patria, ad essa legato da affetto congenito. Ma ci sono dei limiti che non è lecito varcare. Colui per il quale le tenebre sono luminose, sa bene se, sulla nave agitata da tanti pericoli, io noncurante dorma il sonno di Giona, o se con gli Apostoli io gridi: «Signore, salvaci: siamo perduti» (Mt 8, 25).

Andate, in nome di Dio, andate con Dio, carissimi, e cercate un pastore più adatto a voi. Lasciate stare questo Certosino inesperto: lasciatelo quieto fra i silenzi cui si è votato: e siate certi che ciò sarà sommamente caro a Dio”.

Nonostante questa accorato appello, Niccolò Albergati fu eletto vescovo della sua città natale il 4 luglio 1417.

Preghiera:

Concedici, o Signore, quella semplicità di

Vita, che ha permesso al beato Niccolò di rimanere

fedele alla sua vocazione di certosino tra le tante

mansioni del suo ministero.

Energia solare per una certosa

Cari amici, la notizia che vi riporto, riguardante una certosa, è apparsa poche settimane fà ed ha destato un notevole interesse mediatico. Ma da dove nasce questo scalpore?

Ebbene, l’annuncio arriva dall’Inghilterra e più precisamente dalla certosa di St. Hugh a Parkminster, nel West Sussex. L’Ordine certosino ha infatti reso noto che per questa certosa inglese vi sarà un’ingente investimento, volto alla salvaguardia dell’ambiente ed al rispetto per il pianeta. Saranno installati 500 pannelli fotovoltaici per alimentare il loro sito di 240 ettari con energia solare gratuita, pulita e silenziosa. E’ stato calcolato che, questa lodevole iniziativa potrebbe portare a un risparmio di carbonio pari a un’enorme quantità di 2.307 tonnellate di CO2 in un periodo di 20 anni.

Sembra paradossale che venga dai certosini, legati a tradizioni immutate in oltre nove secoli di storia, questa politica energetica ed ambientale proiettata verso il futuro maggiormente ecosostenibile. I certosini di Parkminster, stanno anche investendo in una batteria che immagazzinerà l’elettricità in eccesso che potrà essere utilizzata quando i pannelli non generano energia. L’ OHM Energy, è uno dei partner di energia rinnovabile più esperti della costa meridionale dell’Inghilterra, che presta la propria consulenza alle necessità della certosa. Jason Lindfield, direttore di OHM Energy Solutions, recentemente intervistato, ha affermato che il sistema adottato dai monaci, si ripagherà da solo in meno di sette anni: “Il nuovo sistema non solo è silenzioso ma trasformerà le operazioni, aiutando St Hugh’s sia dal punto di vista finanziario che ambientale. La resa energetica prevista è di 231.650 kWh con un risparmio annuo di £ 27.196. “Agli attuali prezzi dell’energia, l’intero sistema dovrebbe ammortizzarsi entro sei anni e sette mesi, il che costituisce un investimento molto sostenibile per la comunità monastica”.

Pannelli solari Parkminster

Ma ecco anche il parere monastico:

Fratello Hesychios, un monaco di St Hugh, spiega: “Inizialmente, quando abbiamo iniziato questo processo eravamo dei principianti assoluti, quindi speravamo di poter contare su un installatore di pannelli solari che avesse la capacità di mettersi nei panni – o sandali a seconda dei casi, dell’utente alle prime armi con i pannelli solari, e che fosse in grado di spiegarci in parole povere passo dopo passo il processo coinvolto. Sono molto lieto di dire che il team OHM lo ha fatto.”

Investire dunque nell’energia solare è stata la scelta per il futuro dell’Ordine certosino, che si proietta così nei secoli a venire!

la comunità certosina

Dialogo con San Bruno 41

6 dialogo

 

Prosegue l’intervista del nostro certosino al nostro amato San Bruno

CG – Al nostro egoismo e alla nostra codardia, tale radicalità assoluta sembra molto difficile, non importa quanto ne riconosciamo la necessità.

SB – Né Dio né io ti nascondiamo questa difficoltà. Ma credo che se prendi in considerazione queste parole di Osea come ti sono state dette, questo ti aiuterà; parole che, infatti, trovi citate, in parte, negli Statuti: «Così la sedurrò: la condurrò nel deserto, per parlare al suo cuore. (…) Allora ti fidanzerò per sempre; Ti sposerò secondo giustizia e diritto, con amore e misericordia. Ti sposerò fedelmente e conoscerai il Signore. [E dirai:] ‘Tu sei il mio Dio’”. (Os 2,16 ss). Questi sono i piani di Dio per te; ed il suo compimento è il supremo desiderio del mio cuore paterno e l’oggetto primario delle mie suppliche per voi. Non ti nascondo che questa è la gioia più grande che puoi darmi ora, quando le cose di Dio sono meglio comprese.

Infatti sulla terra anche questo è stato per me motivo di gioia. Ricordo, a proposito, quanto era grande la gioia del mio cuore quando scrivevo ai primi figli della Certosa e come rendevo grazie a Dio quando contemplavo in loro l’accoglienza fedele che avevano riservato alla chiamata divina e quando vedevo le ineffabili meraviglie che la Bontà del Signore operava su di loro. Per questo disse loro: “Rallegratevi, cari fratelli, della sorte che vi è toccata e dell’ampiezza della grazia di Dio su di voi”.

Quando li ho visti, per la loro generosità e fedeltà, nella “pace e tranquillità del rifugio del porto nascosto”, il minimo che ho potuto fare è stato rallegrarmi nel Signore, considerando questo dono puramente gratuito del Signore, donato a loro «perché è stato loro concesso dall’alto»; sapendo che molti altri, nonostante lo volessero, non ci erano riusciti.

Ai miei tempi si parlava molto, e non meno si scriveva, del Dio desiderans e del Dio desideratus, cioè del Dio che desidera, che cerca l’uomo, e del Dio desiderato, del Dio cercato dall’uomo.

La vocazione monastica era considerata come una chiamata, un desiderio peculiare di Dio nei confronti dell’uomo e come una ricerca, un desiderio supremo dell’uomo nei confronti del suo Dio.

La realizzazione di questa vocazione è stata la convergenza, la soddisfazione di questa sete di Dio di donarsi e di unirsi all’uomo per amore e della sete dell’uomo per questo desiderio infinito che sente nel cuore di accogliere e possedere Dio.

Dio perseguita l’uomo perché lo ama; e l’uomo cerca Dio perché ha bisogno di Lui, perché è stato creato per Lui.

Come puoi vedere, una vocazione d’amore, che può essere vissuta solo nell’amore; in quell’amore che porta al vittimismo di cui abbiamo già parlato.

Ecco perché non pochi autori del mio tempo amavano considerare i tre voti monastici come altrettanti chiodi che fissano il monaco alla Croce di Gesù, affinché sia, su di essa e con Lui, “vittima viva, gradita a Dio”.

La regina Giovanna I ed i certosini di Napoli

La regina Giovanna I

Il personaggio di cui voglio oggi parlarvi, è la regina Giovanna I d’Angiò, la quale ebbe un rapporto particolare con l’Ordine certosino, come di seguito vi spiegherò.

Giovanna, rimasta l’unica discendente diretta di suo nonno Roberto d’Angiò, con un atto anticonvenzionale, venne da lui nominata sua erede legittima a fronte di numerosi altri aspiranti parenti maschili. Per far fronte alle pretese sul trono del Regno di Napoli vantate dal ramo ungherese degli angioini, Giovanna venne fatta sposare giovanissima al lontano cugino Andrea d’Ungheria, riunificando la dinastia. Alla morte del nonno, nel 1343, Giovanna divenne di fatto una delle prime regine sovrane d’Europa. Fu regina regnante di Napoli, monarca titolare di Sicilia e di Gerusalemme nonchè contessa di Provenza e di Forcalquier dal 1343 al 1381, anno della sua deposizione.

Essendo nata nel 1326, Giovanna dunque a soli diciassette anni divenne regina!

I rapporti con i certosini

Come sappiamo la fondazione della certosa di San Martino a Napoli fu voluta nel 1325 da Carlo d’Angiò, duca di Calabria e primogenito di Roberto d’Angiò il saggio, alla prematura morte di Carlo, avvenuta improvvisamente l’11 novembre 1328, la figlia Giovanna successivamente, come già scritto, ereditò il trono di Napoli.

La certosa fu finalmente inaugurata il 26 febbraio del 1368, sotto il regno della regina Giovanna I, anche se i certosini vi si erano già insediati dal 1337. Essa, come vedremo, fu molto generosa con la comunità monastica certosina napoletana offrendo loro molti privilegi.

Nella certosa napoletana, vi sono diverse raffigurazioni della regina angioina, nel pronao della chiesa, in uno dei riquadri, in alto a destra del portale, Belisario Corenzio nel 1632 raffigura in un’affresco La regina Giovanna I che offre la custodia della chiesa a san Bruno. Altro affresco in cui appare la regina Giovanna è situato in una stanza del Quarto del Priore dove è raffigurata, in una grande tela, insieme a suo padre Carlo d’Angiò con il modello della certosa da porre sulla collina del Vomero sovrastata dal vescovo San Martino nell’atto di benedire il luogo.

Va anche ricordato che su un terreno di proprietà della regina, nel 1373, venne edificata la certosa di San Giacomo a Capri, laddove vi è un’altra raffigurazione pittorica volta a omaggiare Giovanna I.

Vi sono alcuni episodi storici, che si verificarono in quegli anni, che testimoniano l’intenso rapporto di stima e fiducia tra la regina di Napoli ed i certosini,

Nel 1345 dopo l’uccisione del marito Andrea d’Ungheria, a seguito di una congiura, Giovanna dovette subire un processo per omicidio durante il quale i certosini di San Martino la sostennero e difesero strenuamente, ma dal quale venne assolta.

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I rapporti della regina con i certosini furono eccellenti, essa ebbe sempre molta stima per i monaci verso i quali fu molto munifica. Nel 1348, Giovanna I con “Regal Diploma” del 15 luglio, esentò la comunità certosina di San Martino da ogni dazio, dogana, gabella, collette e decime e stabilì che, in caso di controversie, salva la legge, si sarebbe dovuto decidere sempre a favore della certosa.

La chiesa napoletana di Santa Maria Spina Corona, oggi detta l’Incoronata, fu fondata nel corso degli anni sessanta del trecento dalla regina Giovanna I d’Angiò, nell’attuale via Medina, un tempo detta Largo delle Corregge, cioè delle giostre, per essere luogo in cui si svolgevano tornei. Consacrata nel 1373, essa è ciò che resta di un più ampio complesso ospedaliero, dismesso già nel corso del Cinquecento, rispetto al quale la chiesa ha continuato ad avere vita autonoma. La chiesa insieme all’ospedale fu affidata ai certosini, l’8 ottobre del 1372, Giovanna scrisse al priore di San Martino, Giovanni Grillo da Salerno, per affidare ai certosini la gestione dell’ospedale. I monaci accettarono, ma nominarono dei sacerdoti secolari alla gestione della chiesa-ospedale, affinché non fossero disturbati nella loro clausura.

La titolazione di questa chiesa a Santa Maria Spina Corona, testimonia l’esistenza della famosa reliquia che essa conteneva, ovvero una spina della corona di Gesù Cristo dagli attributi miracolosi. Questa eccezionale reliquia fu poi donata ai certosini di San Martino che ebbero cura di conservarla tra le molte altre che avevano nella cappella delle reliquie, oggi cappella del Tesoro.

In seguito, l’8 aprile 1378 Papa Urbano VI si insediò a Roma, mentre poco dopo, un gruppo di tredici cardinali francesi, non riconoscendolo come legittimo pontefice, si riunirono a Fondi. La regina Giovanna I di Napoli, loro sostenitrice, decise di inviare a Fondi, presso i cardinali scismatici, il priore Giovanni Grillo della certosa di S. Martino di Napoli, il quale dopo averli incontrati, fu da loro inviato da Urbano VI per convincerlo di rinunciare al Pontificato, ma ciò non avvenne. Il 20 settembre del 1378, a Fondi, i cardinali elessero come antipapa Clemente VII, il quale stabilì la propria sede ad Avignone, dando così inizio al Grande Scisma d’Occidente che sarebbe durato quaranta anni.

La figura di questa ragazza, sposa a soli 7 anni ed incoronata a soli diciassette anni regina di un’importante regno, nel corso dei secoli è stata vista in maniera controversa e considerata vittima o carnefice nelle tormentate lotte di potere del suo tempo. Giovanna, ebbe 4 mariti e innumerevoli amanti e di lei si dice che fosse bellissima, fu suo malgrado al centro di vari intrighi. Trascorsi 40 anni di regno, dopo un lungo assedio fu catturata dal figlioccio Carlo di Durazzo e imprigionata a Muro di Lucania morendo decapitata o strangolata nel 1384. Quando giunse questa tragica notizia, immenso fu il rammarico dei certosini, che vollero ricordare con speciali preghiere la sovrana loro protettrice.

Voglio ricordare questa discussa regina, come la definì Boccacciogloria non solo delle donne ma anche dei re

Dom Ludolfo sulla Vergine Maria

LUDOLFO SAXE

Cari amici, eccoci giunti al mese di maggio, notoriamente dedicato alla beata Vergine Maria. Ho scelto per voi, un testo di Dom Ludolfo di Sassonia, estratto dal suo celebre “Vita Christi”, è una originale considerazione sull’aspetto materno della Vergine.

La Madre

Mentre ella pregava e dolcemente piangeνa, ecco venire all’improvviso Gesù in bianchissime vesti, cinto dalla gloria e della novità della sua risurrezione, e sereno in volte, bello gioioso, lieto e contento farsi innanzi alla Madre desolata e addolorata. Alla vista del figlio ella si alza e in lacrime di gioia con tenerezza e ineffabile amore lo abbraccia. Ogni nube di mestizia si dilegua dalla sua fronte e vi brilla il sereno della più tersa letizia. Poi, sedendo entrambi, lo guardava e contemplava nel volto, nelle cicatrici delle piaghe, per tutto il corpo, scrutando diligentemente se ogni sofferenza fosse passata, se ogni dolore si fosse da lui allontanato.

Chi può immaginare la gioia della Madre nel vedere il Figlio risorto per sempre, non solamente perchè non deve mai più morire, ma perchè ormai è l’arbitro assoluto del cielo, della terra e di ogni creatura! Seduti l’uno accanto all’altra parlano gioiosamente insieme e celebrano in questo modo la loro Pasqua. O cara e dolcissima Pasqua che fu quella per Maria! Gesù le raccontò come avesse liberato il suo popolo dalle tenebre della morte e tutto ciò che aveva compiuto in quei tre giorni.

Di questa apparizione di Gesù a sua Madre, prima di tutti gli altri, non c’è alcun accenno nel Vangelo, ma io l’ho riferita e premessa a tutte le altre, perché oltre a trovarsi in un’antica leggenda della risurrezione, è anche una pia credenza. Infatti non era forse conveniente, degno e giusto che il Signore volendo mostrarsi risorto, visitasse prima di ogni altro sua Madre, e della sua risurrezione allietasse prima di tutti colei che lo amò più di tutti, ne pianse la morte più profondamente di tutti, ne desiderò con più fede e ardore di tutti la risurrezione? Non era giusto che colei che aveva condiviso più di tutti i dolori del Crocifisso, fosse la prima a partecipare delle gioie del Risorto? S. Ambrogio afferma: «Maria vide la risurrezione del Signore; fu la prima a vedere e credette; vide anche Maria Maddalena quantunque essa fosse incerta».

(Vita Jesu Christi, parte II, c. LXX, n. 6, pp. 666-667)

Dialogo con San Bruno 40

6 dialogo

Continuano le domande del certosino a San Bruno su temi escatologici. Meditiamo sulle risposte.

CG – Perché “essere una vittima vivente” ci costa così tanto, pur sapendo che ciò è necessario per la nostra stessa fecondità?

SB – Perché costa? Semplicemente, perché è costato anche a Gesù. Questa consiste nel compimento della nostra Pasqua, nel nostro “passaggio”, nella nostra totale dedizione a Dio nello spogliamento del deserto e nel distacco assoluto da noi stessi.

L’intimità con Dio è un bene superiore, che si paga caro. Sperimentiamo un’intimità con Lui che è dolcezza, amore, ma dobbiamo pagarla: l’unione con Dio ci rende partecipi della Croce, del sacrificio di vittimismo di Gesù.

Dobbiamo vivere nell’intimità con Dio, ma portando anche un po’ il peso della croce, il peso dei peccati del mondo, lil peso della sua condanna: «non muoia, ma abbia la vita in abbondanza”.

Non ritenere quindi strano se senti dentro di te una sorta di agonia, quando devi rinunciare a tutto e perfino rinunciare alla sicurezza che ti danno i mezzi da te scelti o inventati. Nel deserto dell’esodo non possiamo scegliere nuove strade; Dobbiamo accogliere le vie aperte e indicate da Dio.

Ciò, ovviamente, richiederà da parte tua un incessante atteggiamento di fiducia; ma da una fiducia che scaturisce non da te stesso, dalle tue forze, dai tuoi mezzi, ma dalla forza di Dio, che ami e che cerchi attraverso i cammini della conversione, il tuo passaggio, della tua “Pasqua al Padre”.

Inoltre, con questa fiducia, illuminata dalla fede e sorretta dall’ancora della speranza, sentirai la violenza che sperimenta il cuore quando deve effettuare la consegna di sé stesso, senza riserve, a Dio, per rispondere al tuo amore infinito.

CG – Da dove viene tutto questo?

SB – Sono i misteri del cuore umano, le tendenze naturali, le forze create dalle nostre precedenti esperienze terrene che si fanno sentire, anche quando ci orientiamo verso Dio.

Devi superare queste forze opposte e superare le tue paure, padroneggiare queste difficoltà e rinunciare alle tue astuzie, confidare pienamente nel dono di Dio.

E tu lo sai bene: Dio non si consegna completamente se tu ti doni a gocce. La pienezza del suo amore esige la pienezza del tuo. “L’amore si ripaga con l’amore”…

Entra dunque in quella strada e lì compi la tua oblazione, la donazione del tuo amore. Sarà questa la testimonianza più grande della vostra fedeltà a Colui “che vi ha chiamato nell’amore”, a Colui “che vi ha amato e ha dato se stesso per voi”, a Colui che “vi ama di un amore eterno e che vi porta a Lui stesso nella misericordia» (Ger 31,3).

Sai qual è il massimo della felicità in questo e nel tuo mondo? Vediamo che non siamo un prodotto accidentale e senza senso, ma sperimentiamo che ciascuno di noi è voluto, amato e “necessario” per amore di Dio. E non c’è niente di più bello o di più sorprendente che essere innamorati di Cristo. Sì, non c’è niente di più bello che conoscerlo e comunicare agli altri il nostro amore, la nostra amicizia con Lui.

“The House at the end of the World”

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Cari amici sono trascorsi ormai quattro anni da quando vi annunciai che la tv nazionale della Corea del Sud, KBS, aveva mandato in onda un documentario dal titolo “La casa alla fine del Mondo”.

Un dettagliato ed interessantissimo reportage sulla certosa “Nostra Signora di Corea“, i cui testi e dialoghi erano in lingua coreana, pertanto da questo blog feci un’appello a tutti coloro erano intenzionati ad aiutarmi nella traduzione. Ebbene con immensa gioia riuscii ad ottenere il prezioso contributo da diversi amici di Cartusialover, i quali mi inviarono le traduzioni e mi consentirono di proporvi i testi tradotti in inglese, portoghese, francese, spagnolo. Essendo un documento video prezioso, lo inserìì, nella versione integrale, nella slide di sinistra della home page del blog, affinchè tutti potessero facilmente vederlo. Oggi a distanza di quattro anni ho il piacere di proporvelo con i sottotitoli in inglese, per una visione ancora più gradevole ed immersiva.

Il film è stato suddiviso in tre parti. Buona visione a tutti!

The House at the end of the World, The Carthusian Cloistered Monastery Part 1

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The House at the end of the World, The Carthusian Cloistered Monastery Part 2

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The House at the end of the World, The Carthusian Cloistered Monastery Part 3

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